Alla Ricerca Dell’ 8° Senso

Avevo ancora nell’anima i profumi dei giardini della Ville Rose, Toulouse, con le sue strade in primavera merlettate di Lillà, quando un profumo di olibano, la resina più nobile e pura di quello che chiamiamo incenso, mi condusse sulle tracce di Mont Saint-Michel.

mont-saint-michel-3Finalmente ero riuscita ad avere i grani di olibano più lucenti e puri che avessi mai visto. Mentre ne annusavo la mistica essenza, osservavo le volute a spirale che s’innalzavano verso il soffitto. Una visione olfattiva penetrò nelle mie narici viaggiando fino al talamo, scrigno magico della nostra essenza più preziosa.

Le memorie dell’amigdala riconobbero, come qualcosa di familiare ed ancestrale, l’odore dell’incenso. Ad occhi chiusi, ascoltando una musica gregoriana, mi vidi in una chiesa deserta, dove l’unica compagnia era il suono dell’organo a canne soprastante, ed un raggio di luce che filtrava da una delle grandi finestre ogivali. La sensazione di una stretta alla gola mi pervase.

Se a Toulouse avevo vissuto un periodo piacevole, capisco che in quel luogo avrei potuto vivere un’esperienza dolorosa, ma necessaria per fare un ulteriore passo verso la Luce. Quale altro indizio odoroso mi poteva aiutare a identificare quel luogo? M’inoltrai nel mondo dei sogni per captare qualche altro indizio che mi riportasse indietro. Ho detto indietro? Si, forse è proprio così. Indietro nel tempo, in un’altra vita, in un’altra dimensione. A volte l’esperienza è reale, a volte si svolge nel sogno, ma chi può dire con assoluta certezza che quando sogniamo non viviamo in un’altra dimensione? Quella notte, dopo quella visione, pensai che il sogno ricorrente dove mi vedevo annegare, poteva aver a che fare con quei luoghi. Dove si trovava la chiesa della visione?
“Si trova vicino al mare, ma un mare del Nord” pensai. “Quella luce che filtrava rifletteva il colore freddo e profondo del mare d’inverno. Probabile. D’altronde il colore astrologico legato al mio giorno di nascita è proprio il Mare del Nord.

Avevo bisogno di annusare qualche altro indizio. Avvicinandomi al piatto di legno rotondo che avevo adibito a organo dei profumi, prima di girarlo in cerca dell’essenza evocativa, il mio sguardo venne attratto da una misteriosa luna piena, velata da una nube di passaggio che disegnava su di essa un’ombra. Sembrava la punta di un cipresso con il suo “dito di Dio”. Girai il piatto. Dopo solo mezzo giro si fermò esattamente verso il nord est della stanza, nel punto dove si trovava l’essenza di Cipresso. Un’essenza forte ed altamente spirituale, il cui aroma conferisce forza e coraggio. Non è un profumo da notte, ma cercai di interpretarne il messaggio.

Un luogo con una grande spiritualità rappresentato da una figura forte e potente. Decisi d’indossare una rosa. L’essenza di rosa con il suo profumo è sempre presente nelle storie sacre. Non per nulla è il fiore della Madonna alla quale è consacrato il Rosario. Coccolata dagli effluvi di rosa e dal lucente olibano, mi ritrovai ben presto nella dimensione onirica.

Il risveglio portò con sé l’immagine di una foresta di querce imponenti. Sulle rocce scolpite dall’acqua e assemblate dall’uomo, erano scolpiti come dei geroglifici, strane lettere che non riconobbi e dei numeri: un 2, un 9 e quello che sembrava un ,8 simile al simbolo dell’infinito. All’immagine si accompagnava l’odore della pietra rupestre che avvertii nitida nelle mie narici. Un odore di pietra bagnata dall’acqua, memore di tracce di licheni, muschi vegetali e sentori legnosi.

Quella mattina, dopo i miei abituali rituali, cercando una connessione con il numero 29, mi accorsi che dopo pochi giorni sarebbe stato il 29 settembre, giorno dedicato all’Arcangelo Michele. Si festeggia anche l’8 maggio e l’8 novembre nei paesi ortodossi. Molti sono i luoghi consacrati all’arcangelo Michele.
I più interessanti sono quelli situati sulla linea retta che va da Skellig Michael, a nord ovest dell’Irlanda, fino al Monte Carmelo in Israele.

Su questa linea, in perfetto allineamento con gli altri luoghi di culto consacrati all’Arcangelo Michele, c’è Mont Saint-Michel e questo è il luogo della mia visione. Oltre che per le sue straordinarie architetture, l’isolotto è famoso per le maree, fenomeno influenzato dalla Luna a me tanto cara. Eccitata dalla scoperta, mi misi subito alla ricerca dei mezzi per arrivare a Mont Saint-Michel e rimanere autonoma al di fuori dei circuiti turistici. L’estate è la stagione migliore per il clima, ma la peggiore per poterne godere appieno la bellezza per via della folla che invade l’isola.

Decisi quindi di partire in una nebbiosa giornata di novembre.
Da Parigi il mio viaggio proseguì in bus, per arrivare, finalmente, al piazzale di fronte a Saint Michel. Da lì partivano le navette per raggiungere l’isolotto e l’albergo dove avevo prenotato una stanza. Il tempo non era certo dei migliori. Arrivai nel tardo pomeriggio e il sole, o meglio, la luce, quel giorno se ne era andata da un pezzo. Il cielo era carico di nubi e l’isolotto era circondato da una leggera foschia che nascondeva la parte bassa dell’isola, lasciando scoperta l’abbazia illuminata.

Sull’ ultima guglia, a 172 mt dal mare, si ergeva la statua dell’Arcangelo Michele nella sua grandiosa imponenza. La spada scintillante, nella direzione della via micaelica, ricordava simbolicamente la forza e il coraggio, con cui San Michele vinse Satana nella sua epica lotta.
Quella sera l’alta marea era prevista intorno alle 23. Per la prima navetta disponibile avrei dovuto aspettare circa un’ora aspettando nel bar del piazzale. Non mi andava proprio. Il peso della valigia mi fece desistere dall’ idea di percorrere a piedi quei pochi km che separavano la terra ferma all’isola.

Mi guardai intorno e vidi non molto lontano quello che definii un carretto portato da un paio di cavalli. Incuriosita mi avvicinai. Il “cocchiere” mi chiese se volevo essere trasportata sull’isola per 15 euro. “Veramente costoso” pensai. Provai a ridurre a 10 euro ma lui disse che con il buio erano 15 e di provare a trovare altri 2 passeggeri per dividere la spesa. Mi guardai intorno e non vidi nessuno. Erano tutti nel bar della piazza. Quei cavalli e quel semplice carretto mi ricordavano quelli visti in certi film che raccontano le imprese medievali. Avevano un’aria vagamente familiare e mi attraeva l’idea di gustarmi quella breve traversata da sola. Così fu che decisi di salirci e nel silenzio, rotto solo dal suono fragoroso del mare del nord e dal calpestio degli zoccoli dei cavalli, percorsi quei pochi chilometri che avrei voluto non finissero mai, con il cuore in gola.

L’odore della foresta di Scissy, con le maestose querce, i suoi muschi e licheni, sommersi da migliaia di anni sotto metri di detriti sabbiosi, sommersero a loro volta la mia anima in cerca di risposte. Rimandi storici e leggende si mischiavano alle sensazioni che le mie narici percepivano, ma ero certa di sentire, ancor prima che con le narici con l’anima, quegli odori di terra congiungersi agli odori di acqua salata, alghe e conchiglie. Forse la mia percezione era influenzata da ciò che avevo letto, ma il mio sentire era ben vivo, e riconoscevo le sfumature olfattive di ogni singola nota con chiarezza e certezza.

Nell’antichità l’isolotto era circondato dalla foresta di Scissy. La grande roccia veniva utilizzata dai Druidi, i sacerdoti delle popolazioni celtiche, per i loro riti. Pian piano, durante i secoli, la foresta sprofondò sommersa dalle acque. Ciò è reale e provato dagli studi dei fondali e dei detriti tutto intorno. Affascinante è la leggenda che narra la visione di Saint Hubert, vescovo di Avranchés. Nel 709 gli apparve in sogno l’Arcangelo Michele chiedendo che fosse costruita una chiesa in suo onore sulla roccia. Il vescovo per due volte ignorò la richiesta fin quando San Michele gli toccò il cranio con un dito forandoglielo pur facendolo rimanere in vita. Sarà leggenda, ma il cranio con il foro di Saint Hubert è conservato tuttora nella cattedrale di Avranchés.
Arrivata dopo un breve, ma intenso tragitto al mio albergo, mentre aspettavo di andare nella mia camera, scoprii che quell’hotel aveva esattamente 29 camere. Ancora il 29. Curioso. Sapevo che non era una coincidenza. Era quella speciale magia condita di alchimia che ti accade quando segui le tracce che ti sono lasciate se solo sai chiedere. E i messaggi arrivano. A volte come impronte lasciate sulle pietre. A volte come memorie olfattive nell’acqua della fonte originaria.
Verso le 23 della sera, stanca del viaggio e desiderosa dell’arrivo del mattino, ammirai lo spettacolo dell’alta marea dalla finestra della camera. Non si vedeva molto nella foschia notturna di quella sera novembrina. Ma la musica dolce e penetrante dell’onda che avanzava la percepii, e colsi l’invito ad assaporarla come una sinuosa ninna nanna. Gli occhi mi si chiudevano. Cullata dal profumo muschiato del mare del Nord mi addormentai.
Misi la sveglia alle sette per essere certa di essere sulle mura del Mont, la terrazza del sagrato dell’abbazia, ed ammirare l’alta marea con la luce del giorno, prevista intorno alle 11.00. Un raggio di luce direttamente sul viso mi svegliò all’alba. Mi ero dimenticata di chiudere la tenda sul lucernario soprastante, ma la cosa non mi dispiacque, anzi. Ebbi tutto il tempo di fare una doccia, qualche pratica meditativa e scrivere qualche prima impressione sul mio viaggio in solitaria. Scesi nella sala colazioni e m’informarono che l’abbazia avrebbe aperto alle 9.30.
Così uscii e camminai lentamente per la Grand Rue. La immaginavo così come mi era stato detto. Ristoranti, bar e piccole botteghe dove acquistare souvenir, pervase da odore di croissant e caffè o di omelette a seconda dell’orario. Quando mi lasciai alle spalle la via, iniziai a respirare un’atmosfera diversa. Tanto i viottoli si facevano più stretti man mano che proseguivo verso l’alto, tanto la mia vista si allargava respirando l’infinito di quel cielo dai colori cristallini. La fatica nell’arrampicarmi mi costrinse più volte a fermarmi e a contemplare le distese di sabbia intorno a me. Il percorso per arrivare all’Abbazia è una spirale da destra a sinistra, scelta praticata dai monaci benedettini non casuale, ma dettata dalla volontà di percorrere un cammino, spesso faticoso ed irto di ostacoli, e costringerci a fermarci per riflettere, per arrivare nel nucleo dell’Essenza, nel centro del proprio Sé e rivelarne la luce.
Sono sulla terrazza. Lo spettacolo è mozzafiato. Il vento freddo mi sferza il viso ma mi sento come una guerriera che ha già sentito ed affrontato il freddo vento del Nord. Al di là della linea dell’Oceano vedo arrivare veloce il mare. Ben presto viene a ricoprire quasi tutto intorno all’isola. In un attimo mi balena davanti agli occhi l’immagine di una donna, vestita di stracci. Sta sfuggendo a qualcuno o qualcosa. Colta all’improvviso dall’alta marea, sta annegando nelle sabbie mobili. La gola mi si stringe facendo appena in tempo ad emettere un lieve urlo di dolore: “Dio Mio”.

Nello stesso istante non sento più il piacevole odore appena salmastro del mare bensì l’odore delle sabbie mobili vibranti di terrore. Cambio lo sguardo sull’orizzonte per scrollarmi dagli occhi quella visione e proseguo il mio cammino lungo le mura.
In lontananza scorgo dei cipressi e ricordo la sagoma sulla luna. Mi ritrovo poco dopo nel delizioso chiostro. Un luogo di pace e meravigliosa armonia. Ma eccola la porta che dà accesso all’Abbazia, il fulcro e il senso del mio viaggio. Nell’entrare trattengo il fiato per un istante, camminando quasi in punta di piedi per paura di profanare quel luogo di pace ma anche di coscienze tormentate. Mi accolgono le dolci note dell’organo a canne che intona una meravigliosa sinfonia gregoriana. Come suggerisce il nome stesso, è una melodia che risveglia lo spirito. La luce entra come una saetta, scintillante come la spada dell’Arcangelo Michele. Sembra infondere coraggio. Risuonano nelle mie orecchie le parole: “Non aver paura”. Il pulviscolo che accompagna la luce che entra precisa dalla grande vetrata ogivale, sembra danzare intorno a delle volute d’incenso. Chiudo gli occhi e immagino quanti piedi avranno calpestato queste pietre e quante ginocchia si saranno ferite su di esse, penso a quanti occhi avranno cercato conforto e speranza guardando verso quell’altare cosparso di luce. Eppure, nonostante le terribili memorie conservate sulle pietre, tra queste mura aleggia un’aura di pace e serenità indicibili. La sensazione è di respirare la luce calda dell’Infinito. Mentre pensierosa riempio il mio cuore di possibili risposte, le mie labbra ricevono una piccola lacrima dal sapore di mare, e in quel mentre, assorta nel pensiero del mistero della lacrima dal sapido sapore, un frate mi si avvicina. Con voce ferma, potente e al contempo dolcissima, mi chiede se può disturbarmi. “Certamente” è la mia risposta. Con accento irlandese, mi chiese in italiano da dove venissi. Stupita ed incuriosita, dopo esserci presentati ed avergli raccontato sommariamente la mia passione per i profumi e la natura, Fra Martin, così disse di chiamarsi, mi diede la risposta che poco prima mi circolava nella mente. “Qui fra queste mura, al centro, dove convergono i raggi della Ruota dei Venti, da est a ovest, da nord a sud, c’è Dio. Tutto converge al centro e le preghiere, i canti e le volute degli incensi, circolano dall’alto in basso e viceversa per poi giungere ancora al nucleo dell’Essenza, riempiendo lo spazio di vibrazioni benedette.”
Così in Cielo così in Terra.
Iniziò un appassionato scambio di riflessioni sulle meraviglie del creato. Fra Martin, indotto probabilmente dal mio grande entusiasmo, mi condusse in un piccolo giardino. I cipressi che avevo visto in lontananza erano lì di fronte a me. Erano tre. Tutti all’incirca della stessa altezza. Due con il loro dito innalzato verso il Cielo ed uno che il vento aveva appena piegato verso il basso. “Che poi” pensai in un attimo di ritorno ai miei meschini pensieri terreni, “potrebbero sembrare anche dei falli”. Nel momento stesso in cui feci questo pensiero, vidi il frate girarsi verso di me e le sue labbra declinarsi in un sorriso misterioso e indagatore che mi fece per un attimo vergognare del mio pensiero. Subito spostai l’attenzione sul cipresso e gli dissi:” Uno dei tre punta il dito verso…verso Est!” dopo un veloce sguardo intorno in cerca della parte della chiesa dove si innalzava l’altare. Fra Martin, senza nemmeno chiedermi come fossi arrivata a identificarne la direzione, mi raccontò che molto spesso, in particolare durante l’equinozio d’autunno e in primavera, il primo raggio di sole colpisce l’altare con una saetta di luce, dentro la quale sembra che brillino centinaia di stelle. Vista l’ora è uno spettacolo che in pochi riescono a vedere.

“Dev’essere bellissimo” dico io con aria sognante immaginando la luce dorata che entra da est, come se fosse la Spada scintillante dell’Arcangelo Michele che ci incita ad avere coraggio nel percorrere la strada maestra con rettitudine. Il frate, come se avesse letto nei miei pensieri, disse: “Non tutti possiamo essere delle strade maestre, a volte è sufficiente essere un sentiero”. Avevo già sentito quel pensiero, ma in quel momento, il suo significato si fece profondo.

Inizia una conversazione dove capisco che tutto quello che dico e che so sull’aromaterapia sottile e gli effetti del cipresso, risultano essergli assolutamente familiare. Non poteva essere diversamente. L’Ora et Labora dei monaci benedettini comprendeva non solo la preghiera e il canto, ma anche il lavoro nell’orto, la coltivazione delle erbe aromatiche per uso medico, lo scrivere ricette e disegnare miniature di piante e giardini. Molti di loro furono fra i primi a diffondere le opere di Hildegarde von Bingen, erborista, mistica, musicista e studiosa del potere delle pietre. Compresi che avevo incontrato un grande sapiente, così che mi avventurai a conoscere il suo pensiero sulla Signatura Rerum, la Forma delle Cose.

Dio ha creato tutto ciò che ci serve in natura. Attraverso l’osservazione della stessa, ci ha dato le indicazioni per come sfruttarne le virtù e arrivare a comprendere il significato stesso della vita. “Come il Cipresso”, vede Fra Martin” ha questa forma che spicca verso il cielo, ma allo stesso tempo le sue radici penetrano nella terra in verticale, per ricordarci di avere sempre uno sguardo verso lo Spirito, ma anche di rimanere con i piedi per terra e di ricercare nell’Alto il coraggio per vivere in terra. Ed è sempre verde. Credo per ricordarci di rimanere sempre giovani nello Spirito” dissi mentre osservavo un vicino roseto ormai sfiorito.

Il frate era sparito. “Che strano. L’avrò fatto scappare con le mie chiacchiere”. La mia delusione fu rapidamente dimenticata quando improvvisamente iniziai ad annusare nell’aria un profumo di rose. “Ecco” mi dissi. “L’immagine del roseto mi sta facendo immaginare il profumo di rose”. Ma non era solo la mia immaginazione. Fra Martin stava venendo verso di me con tre bellissime rose e me le porse con uno sguardo sorridente colmo di dolcezza. Mi sentii amata dal Cielo e colma di gratitudine per quel meraviglioso dono.

Non feci domande da dove arrivassero perché non ne ebbi il tempo. Mi prese per mano e mi condusse vicino al cipresso mentre mi diceva:” Tu conosci la vera storia della Rosa e i suoi simboli, ora però voglio mostrarti una cosa, a proposito della Signatura Rerum”. “Tutti conosciamo la similitudine con la noce e la forma del nostro cervello, il frutto del melograno con l’arcata dentaria, ma hai mai osservato il disegno del ramo di cipresso? Sembrano le piccole vene e il nostro microcircolo con tutte le sue ramificazioni. Non per nulla è un ottimo rimedio per i problemi di circolazione. Questo è uno dei miracoli che tutti i giorni la Natura ci regala. Basta solo osservarla con amore, gratitudine ed umiltà.”

Con gli occhi velati di lacrime per tanta meraviglia, rivolsi lo sguardo verso Ovest dove l’ultimo raggio di luce solare si stava accucciando verso l’Omega Infinito.
Quando mi ripresi da quel momento di emozione, mi resi conto che era ormai il crepuscolo. A breve le porte dell’Abbazia si sarebbero chiuse. Il tempo era volato. Mi guardai intorno e non vidi nessuno. Del frate nessuna traccia. Mi affrettai verso l’uscita. Uno sparuto gruppo di monaci con la loro candida veste bianca si affrettavano per cantare i Vespri. Diedi una rapida occhiata per vedere se riconoscevo Fra Martin ma nulla. Le mie narici erano ancora pervase dal profumo del cipresso e delle rose avvolte in una nuvola d’incenso che aleggiava sopra il mare. Ma il vento che arrivava da Nord Ovest ancora una volta portava con sé delle inquietanti tracce olfattive. Memorie di fango ed aria salmastra. A quella sensazione la gola mi si strinse.
Non vedevo l’ora fosse di nuovo mattino. Arrivai con il fiato in gola per lo sforzo all’abbazia e, come fui dentro, chiesi al primo monaco che incontrai se poteva indicarmi dove trovare Fra Martin. “Mia cara, non c’è nessun Fra Martin nella nostra confraternita”. “Ma io,” gli raccontai ” l’ho conosciuto ieri. Mi ha portato in un giardino e mi ha regalato tre rose, probabilmente prese da una serra.” “Impossibile, non abbiamo serre, fioriscono le rose solo da maggio, non di certo a novembre” mi disse con un’aria divertita ma non canzonatoria.
“Io comunque mi chiamo Fra Patrick e sono vero. Mi chiamo così perché sono di origine irlandese e la vita mi ha portato qui”. Lui era vero. Già. Aveva il nome di San Patrizio, patrono dell’Irlanda, dove esiste il primo edificio in onore di San Michele. E il vento da nord ovest, il vento d’Irlanda mi portava sulle tracce olfattive di un’altra vita o forse di un altro sogno.

Uscii sul terrazzo del sagrato e notai che il cielo era sgombro di nubi. Sembrava una giornata di primavera inoltrata nonostante l’aria frizzantina. Guardai l’ora sul telefono.

Erano le 10.46 dell’  11 novembre. ..San Martino.

Ella Donati

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3 pensieri su “Alla Ricerca Dell’ 8° Senso

  1. M.53

    Buongiorno, aspettavo con curiosità questo articolo. Ti ho sempre seguita fin dall’inizio perché il nostro comune amico Arthur che purtroppo ci ha lasciato troppo presto, mi aveva parlato di te. Bene. Diceva che aveva scoperto che questa amica della moglie, non era solo molto simpatica, oltre che bella, ma aveva la capacità straordinaria di mettere insieme il suo sapere in un intreccio magico tra colori e note. Così iniziai a seguirti e, insieme a te, ho iniziato un percorso al di là della mia professione che è tutt’altro. Poi ho notato che, sempre più, i tuoi post diventavano sempre più “commerciali” (passami il termine!!!), comunque sempre lontani mille miglia dalle moltitudini di reviews che ci sono in giro. Ed ho capito il perché. Continua a scrivere come sai fare tu perché, credimi, tu emozioni e fai riflettere. Non sono uno scrittore ne’ un blogger, ma mi piace molto leggere. E leggere questa tua “ricerca”!mi ha emozionato. Ci vogliono molto più di dieci minuti. Sai perché?! Perche’ ho voluto rileggerlo per soffermarmi, capire, andare ad informarmi …ma quanto di reale c’è in questo libro?! Non lo so ma non è importante. Ciò che conta è il messaggio che reca con se’. Mi piacerebbe conoscere il resto. Cos’è successo prima a Toulouse?! E poi in Irlanda!? Profumi che ti portano a Seattle ne hai!? Io ormai da 15 anni vivo qua. Peccato. Ho cercato di tradurlo in inglese a mia moglie ma non ha certo lo stesso effetto, sebbene l’idea le sia piaciuta. Fantastico tutto ma soprattutto l’ultima battuta mi ha lasciato senza fiato! Farti i complimenti è troppo poco. Sei una persona meravigliosa. Aveva ragione Arthur. 🌹

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    1. Grazie del commento. Sono molto felice di scoprire che i miei scritti siano di stimolo ed ispirazione per qualcuno. Questo è il “senso” dello scrivere e quindi anche dell’aver voluto condividere questa parte del libro. Per quanto riguarda Seattle ti risponderò in un altro momento con più calma perchè sì, nel mio percorso c’entra anche Seattle, guarda caso. Ho dovuto eliminare una parte della tua email perchè preferisco non trattare certi argomenti sul blog. Ti risponderò a breve in privato.
      A presto.

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